Cuore strano (R. Mannoni)

Nato a Roma il 9 agosto 1883 e ivi morto nel 1942. Funzionario statale e pubblicista, aderì immediatamente al Movimento Futurista con lo pseudonimo di Libero Altomare. Nel 1908 fondò la rivista «Primo Vere», rivelando atteggiamenti crepuscolari e dannunziani filtrati dal linguaggio futurista (Francesco Grisi, a.c. di, I futuristi – I manifesti, la poesia, le parole in libertà, i disegni e le fotografie di un movimento «rivoluzionario», che fu l’unica avanguardia italiana della cultura europea, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma 1994, p. 391).

Il mio cuore è un’antica pergamena

dimenticata, logora, ingiallita

ròsa da assiduo tarlo e raggrinzita

come la pelle d’una vecchia jena.

Ha miniature d’angeli e di donne                                    5

di demoni e di mostri, strani emblemi

misterïose cabale, poemi

e templi dalle fulgide colonne

e d’altre vaghe immagini è istoriata,

però lo scritto vi si legge appena:                                    10

Marcirà prima d’esser decifrata

questa lacera, vecchia pergamena.

Cuore strano: sta in II, 118 – 1 Luglio 1903. Tre quartine di endecasillabi a rima ABBA CDDC EAEA. Vs. 3 ròsa invece di rósa, forse refuso. Vs. 1-2, 11-12 enjambement.

Spesa inutile – A. Giaquinto

Tra le spese che fanno le nazzione

Ce n’è una buffa ar Parlamento ingrese

Che cià in bilancio mille scudi ar mese

Solo pe’ spese de ventilazzione.

 

Va be’ che so’ ricconi a quer paese,                                    5

Ma poi, pe’ sventolà quattro persone

Che stanno sempre a sede a le portrone

C’è bisogno de fa’ tutte’ ste spese?

 

Nojantri, a Roma, semo affortunati

Che nun spennemo tanto come quelli,                        10

Pe’ sventolà li nostri diputati.

 

Già nun ce stanno mai, ma all’occasione

Da noi c’è un tale che finisce in elli

Che fa li venti drent’ar Baraccone!

Spesa inutile: sta in I, 4 – 30-31 Maggio 1902. Sonetto, schema: ABBA BAAB CDC EDE. Vs. 3 la nota dell’autore spiega: “50.000 mila lire all’anno. (Storico!) Vs. 5 paese trisillabo. Vs. 8 tutte’ ste probabile refuso per tutte ’ste.

Emilio Zola – E. Francati

Povero Zola! Dopo avè’ commosso

Co’ tanti scritti tutto er monno sano,

E d’avè’ combattutto a più non posso

Cor un coraggio d’antico romano

Pe’ l’innocenza e pe’ la libbertà                                    5

Ce lassi sur più bello dell’età.

 

Ma er nome tuo nun more! Drent’ar core

A tutti ciài scórpito un tu’ pensiero,

Un’immaggine, un simbolo d’amore

O d’odio, un’impressione de quer vero                        10

Che, con un córpo solo de pennello

Ariuscivi a inchiodàcce ner cervello.

 

Povero Zola! Tu, come Cirano

Nun caschi su la breccia. La natura

Te córpisce improvisa, sottomano,                                    15

Guasi la morte ciavesse pavura;

Cavajere, scrittore, paladino

Mori… pe’ via der fumo d’un cammino!

Emilio Zola: sta in I, 40 – 3-4 Ottobre 1902. Tre sestine di endecasillabi, schema: ABABCC… Vs. 1 avè’ cfr. vs. 3, forse scelta dell’autore. Vs. 16 guasi viene da quasi, fenomeno fonetico caratteristico del centro Italia.

Er vino tascabbile (M. D’Antoni)

1876-1927, droghiere, collaborò anche a «Er Gattello», «Er Conte Tacchia», «Rugantino». Nel 1905 pubblicò una raccolta di sonetti presso la Tipografia Aureliana, e nel 1923 pubblicò la raccolta La pupa, presso la Tipografia Pinci e Brocato (Possenti, op. cit. vol. II p.659). Il Veo (Poeti romaneschi, op. cit.) ci dice inoltre che spesso si firmava con lo pseudonimo di Er drojere e così firmò una Raccolta di 50 sonetti satirici e umoristici in dialetto romanesco pubblicata nel 1905 presso la Tip. Aureliana.

Chi legge dice: E’ matto ’st’accidente

o s’è scolato già quarche fojetta?

Er vino senza quarche recipiente

nun te ce stà, ce vo’ la su’ boccetta.

 

Eppuro un benzinaro, assai valente,                        5

ha ritrovato mo’ ’na macchinetta

che co’ un calore forte, assai bullente

trasforma er vino in una tavoletta.

 

Un bevitore ne pia un pezzettino.

lo squaja dentro l’acqua, lo smucina,                        10

lo beve e s’imbriaca co’ quer vino.

 

Dicheno che nu’ noce quela sborgna,

a petto a ’st’inventore de benzina

Marconi è diventato ’na carogna!

Er vino tascabbile:sta in III, 174 – 13 Gennaio 1904. Sonetto, schema: ABAB ABAB CDC EDE. Vs. 9 il punto è probabilmente un refuso.

La prima poesia (C. Crescenzi)

1867-1916, impiegato, particolarmente affezionato a temi semplici, quasi patetici, collaborò anche al «Rugantino» e pubblicò alcuni volumi: Parole der côre (1899), Un po’ de sentimento (1901), Sonetti romaneschi (1904) (Possenti, op. cit. vol. I, p. 311).

I

Annavo sempre a vede ’n ber visetto

P’ispiramme, pe’ scrive quarche cosa:

ma appena cominciavo a fa ’n sonetto

lo dovevo strappà: robba nojosa.

 

L’occhi neri, li denti, er sorisetto,                        5

trecce d’oro, labbrucce color rosa,

nun me daveno mai nessun soggetto

pe’ fa ’na strofa nova un po’ graziosa.

 

Ma ’n giorno mentre stavo all’osteria,

mezzo sbronzato a fa ’na passatella,                        10

ecchete ch’entra drento mamma mia.

 

Me se mise vicino e quieta quieta,

colle lagrime all’occhi, poverella,

me guardò fissa… e diventai poeta!

 

II

Je feci un ber sonetto in un momento

co’ tutto er core mio, co’ la passione

e quanno je lo lessi m’arimento,

me dette p’arigalo un ber bacione.

 

Je scrissi che mutavo sentimento                        5

pe’ formamme ’na bona posizione,

ch’a forza de lavoro e de talento

J’avrei dato ’na gran consolazione.

 

E ’nfatti, grazie a Dio, accusì è stato:

do ’n’ajuto a la mejo a mamma mia.                        10

e godo si pe’ lei ho faticato.

 

E mo, dopo un boccone, certe sere,

che je dico la prima poesia,

la pòra vecchia piagne dar piacere!

La prima poesia: sta in I, 3 – 27-28 Maggio 1902. La poesia è preceduta da una piccola nota redazionale: “Con questo numero entra a far parte dei collaboratori il bravo e gentile poeta Cesare Crescenzi. I lettori ci saranno grati di tale acquisto poiché il Crescenzi è uno pei [sic] più forti poeti romaneschi di stile sentimentale e patetico.” Si tratta di due sonetti, schema: ABAB ABAB CDC EDE. Parte I, vs. 3 fa anziché fà, forse abitudine del poeta (cfr. vs. 10). Vs. 10 passatella, gioco da osteria, consiste nel far girare dei bicchieri di vino tra i giocatori a seconda del volere di chi guida il gioco (Vaccaro, Vocabolario belliano, op. cit.). Vs. 14 poeta trisillabo. Parte II, vs. 3 m’arimento per sintesi tra me rammento, mi rammento, mi ricordo. Vs. 9 Dio bisillabo. Vs. 12 mo anziché mò.

Sonetto bernesco (P. Corona)

Cupido, un giorno, mentre nel turcasso

I strali riponea con faccia lieta,

Mirò la Terra; e scorsevi un poëta,

Che parlava di lui con gran fracasso.

Affè! diss’egli: ch’io resti di sasso,                                    5

Se questo ciarlatan vale un Fileta

Oppure è molto tempo che, stà a dieta,

Ve’ come è magro, egli è un poeta a spasso.

Non è già un Dante, un Arïosto, un Tasso

Un Parini, un Gian-barbo Passeroni,                        10

Che non saria si magro, ma più grasso.

Or tutti delle rime fanno ammasso;

Mi decantano pur gl’ingnorantoni,

Ma non curo di lor, io guardo, e passo.

E se ir potessi abbasso            15

Assesterei a lui, la rima, e il metro,

Un calcio badiale nel di dietro.

Sonetto bernesco: sta in I, 8 – 13-14 Giugno 1902. Sonetto caudato, schema: ABBA ABBA BCB BCB BDD. Francesco Berni (1497 o 1498-1535) fu poeta parodista famoso soprattutto per il rifacimento dell’Orlando innamorato di Boiardo e per le raccolte di Rime e Capitoli. Vs. 6 Fileta c’è una nota dell’autore: ”Fileta Poeta elego, famoso, nominato dall’Alemanni.” Si tratta di Fileta o Filita di Cos, III sec. a. C. Vs. 7 la virgola prima di sta è probabile refuso.Vs. 8 la dieresi su poeta non è specificata, per cui possiamo leggere il verso in due modi: o con dialefe tra magro, egli; oppure con sinalefe e dieresi su poeta. La pausa dopo magro è molto forte, per cui farei prevalere la prima lettura. Vs. 10 il vero nome è Gian Carlo Passeroni (1713-1803), poeta dell’Illuminismo italiano, che si dedicò alla stesura di un poema lunghissimo, il Cicerone. Potrebbe trattarsi di refuso. Vs. 13 ingnorantoni probabile refuso per ignorantoni. Vs. 15 settenario, secondo emistichio di un endecasillabo a cui manca il quinario. Vs. 16 dialefe tra assesterei a o tra rima, e oppure assesterei dieretico. Vs. 17 badiale quadrisillabo.

Rime dell’ultima delusione (S. Corazzini)

Dolce l’autunno! tanto

che pensammo il ritorno

del più soave giorno

d’aprile! Oh quale ïncanto

 

diffuse primavera

oltre i tiepidi orti

che la chiudon? ne porti,

Autunno, la leggiera

 

anima, nel tuo cuore

vecchio? C’è qualche cosa

di lei che l’angosciosa

morte con te oggi muore.

 

Non la tenne un’acuta

nostalgia di fiorire,

una voglia di aprire

le porte di ogni muta

 

villa. i cancelli di ogni

giardino ormai diserto,

e dopo avere aperto

tutto, ridere in ogni

 

angolo il fresco riso

della sua giovinezza,

godere la tristezza

del vecchio inverno irriso?

 

Anima folle! Stanco

il dolce Autunno cede

e l’occhio tuo non vede

un lenzuolo bianco,

 

immenso come il cielo,

che si stende, si stende

non senti in cuore scendere

quasi mortale un gelo?

 

Come tenne l’inganno

le nostre anime forte!

Sognavano, alla morte,

il principio dell’anno.

Rime dell’ultima delusione: sta in III, 269 – 10 Dicembre 1904. Lo Jacomuzzi (op. cit., pag. 254) ci informa che una diversa redazione di questa poesia venne pubblicata anche il 26 Novembre 1904 col titolo Rime dell’inverno sul “Gran mondo”. La poesia è firmata Collenuccio.

Spleen (S. Corazzini)

Che cosa mi canterai tu

questa sera?

Voglio ancora tristezze.

Cantami la canzone più

triste, amica:

una canzone antica,

non importa,

una di quelle canzoni

che da tanto

non fanno più schiuder balconi;

io voglio piangere

questa sera un pianto

che mi tremi negli occhi solamente.

 

E tu perchè non suoni

nemmeno ora?

e fai morire di voglia

quel tuo piccolo pianoforte?

sei triste anche tu

fino alla morte?

Da quanto

é diserta la soglia

delle tue porte?

La sera è fresca: è primavera

e non ce ne eravamo accorti.

Non è il mese dei morti

dunque è il mese delle rose

questo: non vedi le tende

come si gonfiano voluttuose!

 

C’è vento e stride

una banderuola

e sembra che tarli il silenzio

ferocemente. Dio! quel fanale

come trema, come si dispera

come la nostra via

muore di malinconia

questa sera:

e il fanale é il suo cero

funebre.

 

Canta, dolcezza, c’è la morte

nell’aria e mi sento morire.

Suona, non far più languire

quel tuo piccolo pianoforte.

Spleen: sta in IV, 305 – 10 Giugno 1905. Pag. 305-306 ed. in volume (op. cit.). La poesia è firmata Marcello Rêvera. Si riporta qui la versione intera date le molte differenze rispetto all’edizione ufficiale apparsa nella raccolta Le aureole, seguendo anche quanto fatto dallo Jacomuzzi (Sergio Corazzini, Poesie edite e inedite, a. c. di Stefano Jacomuzzi, Einaudi, Torino 1968, pp. 261). Vs 1 corregge conterai con canterai. Vs 14 corregge l’accento su perchè. Vs 21 e 37 corregge l’accento su é. Leggi è.

Tre poesie (S. Corallo)

Capelli neri.

 

Serbo una treccia di capelli neri

nel mio libro di versi e di fragranze;

narra la treccia tutti i suoi pens eri,

cantano i versi miei le mie speranze.

 

Io i colloqui tacito ne ascolto                                    5

piegando pe ’l desio pallido in volto,

 

chè ad ogni fil de’ suoi capelli io sento

legata una mia gioia e un mio tormento.

 

La bianca rosa.

 

Tu canti ne la pace del mattino

una canzone triste e dolorosa,

l’eco risponde in fondo al tuo giardino

che langue su lo stel la bianca rosa…

 

La bianca rosa che fiorìa d’aprile                        5

pe’l sogno tuo d’amor buono e gentile,

 

la bianca rosa che non ha rugiade

e come l’amor tuo divelta cade.

 

Primavera.

 

Sei tu Primavera

che lieta sorridi

sui pènduli nidi,

sui fior di brughiera,

che intessi ricami                        5

di luce lassù,

che dolce mi chiami,

che m’ami che m’ami

sei tu?

 

Così dolce in viso                        10

tu sei Primavera

e’ cor che dispera

avvivi il sorriso…

Tu recami l’ave

e l’ultimo dì,                                    15

nel sonno mio grave

ti voglio soave

così.

Le tre poesie seguenti stanno in IV, 303 – Sabato 27 Maggio 1905, riuniti sotto una rubrichetta intitolata Romanze.

Capelli neri: una quartina e due distici di endecasillabi, schema: ABAB CC DD. Vs. 3 pens eri refuso per pensieri. Vs. 5 dialefe tra Io i.

La bianca rosa: una quartina e due distici di endecasillabi, schema: ABAB CC DD.

Primavera: due strofe di otto senari e un trisillabo tronco, schema: ABBA CDCCd EAAE FGFFg. Vs. 12-13 e 15 illeggibili per via di alcune abrasioni sulla carta. Al vs. 12 propongo se’; al vs. 13 che; vs. 15 de come integrazioni. Vs. 17 soave trisillabo.

Sono poeta (U. Bottoni)

Allor lento io vagando, ad una, ad una

                                                            Palpo le piaghe onde la rea fortuna,

                                                            E amore, e il mondo hanno il mio core aperto.

                                                                                                            UGO FOSCOLO.

In quei momenti che la barca mia,

S’arena sopra il mare de la vita,

Quando più oscura ne divien la via

E sitibonda mugghia l’acqua ardita,

 

Quando la mente fugge nel mistero                                    5

E sol rimane la realtá crudele,

Quando ne’ spazi vagola ’l pensiero

E provo del dolor l’acerbo fiele,

 

Sento una voce allora mugolante

Che irridendo nel cor vibra secreta                                    10

E mi ripete in quel penoso istante

«Tu non hai vena, tu non sei poeta!»

Sono poeta…: sta in III, 259 – 5 Novembre 1904. Tre quartine di endecasillabi a rima alterna ABAB… Vs. 6 realtá anziché realtà è probabile refuso. Vs. 10 secreto la forma con la sorda c è diffusa anche in Corazzini. Vs. 12 poeta trisillabo.